EDUARDO E LA TV
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UN RAPPORTO SIMBIOTICO
Romolo Valli raccontò una volta un aneddoto gustoso, ma che avrebbe alimentato qualche malinteso sul rapporto fra Eduardo e la televisione. I due attori erano a pranzo a casa De Filippo, quando squillò il telefono: “Pronto, casa di Filippo? Qui è la tivù”. Eduardo chiese allora chi fosse al telefono, e dall’altra parte del filo ripeterono: “La televisione”.
Allora, mentre le rughe che gli percorrevano il volto si facevano più scure del solito, sbottò brusco: “…ed io so o’ frigorifero”.
Come altri aneddoti, questo è stato raccontato in tante versioni più o meno differenti. Ma spesso è stato inteso in modo tutto sbagliato, come prova eloquente di una presunta avversione del grande attore per il mezzo televisivo.
In realtà, nessun attore italiano riuscito tanto in televisione, nessun drammaturgo al mondo affidò al nuovo mezzo così esplicitamente e con tanta determinazione la testimonianza della sua arte, così come (da regista e da interprete) egli stesso l’aveva concepita. Ai Eduardo riuscì, insomma, quello che forse sarebbe piaciuto a Pirandello, quando più volte cercò di avvicinarsi al cinema americano o quando riscrisse per Max Reinhardt “Sei personaggi in cerca d’autore”, immaginando di recitare egli stesso sullo schermo la parte dell’autore. Ma quella intrigante trasposizione cinematografica del più rivoluzionario dramma del secolo non si fece mai.
Eduardo invece ebbe molte soddisfazioni, compresa quella di accrescere enormemente il proprio successo, diventando, dagli anni 60 in poi, una figura familiare nelle case degli italiani, anche di quelli che a teatro non lo videro mai.
Quando, nell’autunno del 1961, cominciarono le riprese di un bel gruppo di sue commedie, la televisione aveva fatto passi da gigante rispetto alla messa in onda dall’Odeon di Milano di “Miseria e Nobiltà”, sei anni prima. Il numero degli abbonati era enormemente aumentato, la qualità delle immagini migliorata e la tecnica di ripresa rivoluzionata dalla possibilità di registrare elettronicamente con il sistema Ampex: registrare sì, ma non ancora montare il girato.
Dunque nello studio televisivo si recitava come in teatro, tutto difilato, riprendendo un atto per volta, secondo un minuzioso piano di inquadrature stabilito in precedenza. Inoltre si era già capito che non si potevano ricreare sul piccolo schermo le condizioni di visione dello spettatore teatrale.Questi ha infatti davanti a sé tutta l’ampiezza del boccascena: può guardare l’insieme o scegliere un particolare, questo o quell’attore, un angolo della scena. Il telespettatore -allora, come oggi - ha invece davanti un boccascena che cinquanta, sessant’anni fa poteva essere grande al massimo 24 pollici, oggi anche oltre i 42 pollici, ma ove comunque la “scelta” di guardare questo o quel particolare la fa per lui il regista, attraverso il montaggio delle inquadrature. Trasportando le sue commedie in uno studio, Eduardo prende senza esitazione la strada maestra della regia televisiva: fa muovere le telecamere liberamente, le fa avvicinare agli attori frontalmente o di profilo, in primo piano, girando attorno per mostrare anche a noi quello che essi vedono in quel momento (la ripresa in soggettiva del cinema). E poiché i personaggi che interpreta sono i protagonisti delle sue commedie, il suo volto scavato campeggia sullo schermo sempre più spesso da solo ed in primissimo piano in una solitudine piena di suggestione. Adatta così via via in percepita in mente la sua recitazione, creando un rapporto tutto diverso con i compagni di scena ed il pubblico (rappresentato in questo caso dall’occhio della telecamera). Tutti questi e molti altri particolari resterebbero curiosità tecniche, se non avessero contribuito a determinare un atteggiamento nuovo di Eduardo rispetto al suo lavoro. Non si trattava più infatti di una o più commedie da trasmettere in diretta dal teatro come avvenuto più volte negli anni precedenti ma neanche girare dei brevi delle firme con la tecnica nello cinematografica come era nel 1956. Ora l’impegno era più ambizioso: la Rai richiedeva un ciclo organico rappresentativo della sua produzione d’autore e lui coglieva l’occasione senza alcuna soggezione del mezzo televisivo
UN INTERESSANTE CONTRIBUTO VIDEO
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L'ARTE DELLA COMMEDIA
di Eduardo De Filippo
Questa opera di Eduardo fa parte della “Cantata dei giorni dispari”, raccolta di commedie scritte nel secondo Dopoguerra e incentrate sulle inquietudini del vivere quotidiano (incomprensioni, violenze, inganni…) e della società (ingiustizie, censure…) Considerata un vero e proprio manifesto politico della poetica teatrale di De Filippo e definita la più “pirandelliana” delle sue commedie, in realtà – come dice l’Autore stessonel testo – è solo un tentativo di “stabilire se il teatro svolge una funzione utile al proprio Paese” e in essa gli attori non sono “ personaggi in cerca d’autore ma attori in cerca d’autorità”. Dopo quasi sessanta anni dalla sua prima rappresentazione, l’opera appare di una modernità incredibile, perché evidenzia il costante interesse del potere a controllare e indirizzare la cultura nelle sue varie manifestazioni. (Sergio Ronci)
NOTE A MARGINE:
Scritta nel 1964 (…anche se da diversi anni il tema centrale dell’opera “frullava in testa” al drammaturgo), andò in scena per la prima volta a Napoli l’8 gennaio del 1965 al Teatro San Ferdinando.
Una curiosità: la “Prima” era stata preceduta da una prova generale aperta al pubblico, formato soprattutto da operai della ITALSIDER con le loro famiglie. Con questa prova Eduardo aveva anche evoluto “testare” questa commedia tanto singolare su un pubblico, per così dire, “comune”. Ma i suoi timori si dimostrarono eccessivi e l’accoglienza calorosa di quella prova generale lo fece ricredere su questo punto. L’arte della commedia è un’opera che, come ha rivelato lo stesso Eduardo, prende spunto dalla realtà. Alla base di questo testo c’è infatti una sottile polemica sui tentativi di censurare il teatro portate avanti dallo Stato. Forse proprio per questo, dopo il debutto napoletano e un giro nei teatri della provincia, Eduardo decise di non portare più la commedia nei teatri delle grandi capitali italiane. Quando si trattò di calcare le scene romane, De Filippo infatti decise di sostituire l’arte della commedia con un’altra opera, Uomo e Galantuomo. Il suo timore - dichiarò alla stampa - era che le Autorità attaccate nella sua ultima commedia, potessero in qualche modo risentirsi. La stessa situazione si ripresentò quando, l’anno successivo, Eduardo decise di non portare quest’opera al Piccolo di Milano. La commedia dunque non calcò più nessun palcoscenico, ma venne scelta da Eduardo per aprire nuovo ciclo di sue opere per la televisione. La versione qui proposta é quella televisiva del 1976.
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